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Quali sono i tre oggetti che vorreste portarvi su un’isola deserta? Avete presente il gioco che spesso si fa per setacciare cos’è davvero utile e cosa non lo è tra i tanti oggetti con cui viviamo? Le risposte mi affascinano tantissimo perché, ascoltandole, si rivela il nostro ritratto in controluce, il dna di quello che siamo e del nostro modo di stare nel mondo. Qualcuno che conosco molto bene mi ha risposto che vorrebbe avere una lente, per aiutarsi ad accendere un fuoco. Non ci avrei mai pensato, ma effettivamente l’uomo in questione ha una mente analitica (e, per inciso, un passato da boy-scout) molto diversa dalla mia.

Se dovessi scegliere, preferirei avere qualcosa in grado di ricordarmi chi sono, qualche oggetto inutile alla sopravvivenza, che ha significato solo per me, come il vecchio quaderno dei temi di quarta elementare, conservato in un cassetto. Perché quello che siamo passa inevitabilmente da quello che facciamo, si riflette nelle nostre scelte e nei nostri desideri. Se ci pensate, anche i primi uomini, una volta risolte le necessità fondamentali, si sono circondati dei loro personali amuleti: nelle caverne, alla sola luce di una torcia, si sono messi a dipingere, a creare brocche dai manici perfettamente ergonomici ma anche belle da guardare, oltre che funzionali. Diceva Achille Castiglioni che gli oggetti devono fare compagnia. E, possibilmente, anche scaldarci il cuore e strapparci un sorriso quando siamo su un’isola deserta, lontani da casa. Ci vediamo a settembre!

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