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Le parole sono finestre oppure muri, diceva Ruth Bebermeyer, ci consentono di volare o di restare imbrigliati a terra. Dico spesso che vorrei avere un po’ della saggezza dei giapponesi che, nel loro dizionario, hanno un’espressione per indicare la luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi: Komorebi. Una parola di una bellezza sottile, un invito a contemplare la transitorietà e la preziosità del presente nella danza di luci e ombre mai uguale a sé stessa. È un invito a restare ancorati al presente, mentre il mondo intorno a noi corre.

La primavera mi fa sempre questo effetto: mi fa venir voglia di rallentare, alzare gli occhi al cielo e godermi lo spettacolo delle nuvole che viaggiano leggere. Magari, in qualche lingua del mondo, qualcuno ha dato un nome alle nubi che cambiano forma sospinte dal vento. I norvegesi, che notoriamente amano ritrovarsi all’aperto dopo i lunghi mesi invernali, hanno coniato l’espressione utepils – si pronuncia “ooh-ter-pilss” – per indicare il momento in cui il sole è abbastanza tiepido da consentire di sorseggiare una birra in mezzo alla natura (la lingua mette in mostra priorità e sfumature che dicono molto più di un saggio di sociologia). Noi italiani abbiamo spiegato al mondo il lusso del pisolino, concetto intraducibile per qualunque straniero che non abbia assaporato la dolcezza di un sonnellino estemporaneo alle nostre latitudini. Svelando al mondo chi siamo molto più di quanto immaginiamo: un popolo di sognatori, che celebra la lentezza e il comfort come stile di vita. Buona primavera slow!